torre di pisa nei social foto

Mi sia concessa una confessione in chiaro, per amor della SEO (e affinché Yoast non mi venga a cercare in sogno brandendo un semaforo rosso): oggi parleremo di: torre, Pisa, social, foto. Tutto insieme, sì. Una combinazione che a prima vista suona come un esperimento di dadaismo digitale, ma che in realtà rappresenta un rituale collettivo ben codificato.

Il turismo è sempre stato un atto culturale. Viaggiare significava — e significa ancora per chi ha occhi per vedere — incontrare la bellezza, misurarsi con il tempo, riconoscere il valore delle opere dell’uomo e della natura.

Tuttavia, nell’epoca dei social network, si è insinuato un nuovo virus, subdolo e persistente: la spettacolarizzazione dell’io. Il turista contemporaneo non guarda più ciò che ha davanti. Guarda sé stesso. Non contempla: si fotografa.

Ho avuto recentemente il dispiacere — e anche il piacere, sia chiaro — di recarmi a Pisa. Ero nel Campo dei Miracoli. Un luogo che, nomen omen, di miracoli ne contiene davvero: la Cattedrale, vibrante di romanico pisano; il Battistero, prodigio dell’acustica; il Camposanto, austero scrigno d’eternità. E poi, naturalmente, lei, la signora obliqua, la Torre pendente, emblema involontario dell’imperfezione che diventa bellezza.

Eppure, tutto ciò scompare — letteralmente — dietro lo spettacolo grottesco e surreale che si consuma quotidianamente davanti a lei.

La torre di Pisa nelle foto sui social

foto improbabili alla torre di Pisa nei social

Una massa umana, armata di smartphone e di idee fotografiche discutibili, si accalca nello stesso punto del prato, dando vita a un’orgia fotografica, un sabba della superficialità. Uomini, donne, bambini, nonni: tutti colti da un’irrefrenabile epidemia iconografica, tutti spinti da un bisogno compulsivo di “tenere su la Torre”.

Ognuno ci prova secondo il proprio estro creativo. C’è chi la sostiene con due dita, chi la spinge via con il piede come fosse un pallone, chi la trasforma in un cono gelato. Una signora la accarezzava, un ragazzo tentava di morderla, un altro di portarsela via.

C’è poi una categoria particolare: quella dei devoti del dio Priapo: turisti di ogni latitudine, che studiano con zelo geometrico l’angolazione perfetta affinché la Torre appaia, nella foto, come estensione anatomica (eretta) del proprio ego. Vi lascio il compito di intuire quale parte del corpo intendano celebrare.

Ma il vero culmine — o forse il più originale degli oltraggi — l’ho visto incarnato in un giovane uomo, inarcato in avanti, in una posa a metà tra l’estasi mistica e l’acrobazia da circo. Sembrava offrirsi alla Torre con dichiarata intenzione. Gambe ben piantate, bacino spinto all’indietro, mani a terra: una messa in scena dal retrogusto inequivocabilmente carnale. La composizione suggeriva, con disarmante chiarezza, un atto amoroso simbolico tra l’uomo e il campanile, consumato in pieno giorno sotto gli occhi di tutti. Una visione talmente spiazzante da sembrare uscita direttamente da incubo pittorico di Hieronymus Bosch, dove il sacro e il grottesco convivono senza verogna.

dettaglio Bosch

Ecco, tutto questo potrebbe far sorridere — e in effetti lo fa — ma lascia anche una, sottile, ironica amarezza.

La Torre, capolavoro involontario di un errore strutturale, oggi fa da sfondo a un altro tipo di inclinazione: quella verso il kitsch, verso il bisogno compulsivo di apparire. La fotografia come surrogato dell’esperienza.

Capisco il gioco, la leggerezza, l’ironia. Ma quando il gioco diventa abitudine e si sostituisce alla percezione del bello, allora bisogna preoccuparsi. Nessuno guarda davvero la Torre. Nessuno nota la sapienza architettonica, la grazia dei loggiati sovrapposti, la purezza del marmo pisano. Tutti guardano lo schermo del proprio telefono, intenti a scattare la foto perfetta per Instagram o TikTok. Non c’è più un’esperienza vissuta: c’è un contenuto da condividere.

Naturalmente, non tutto è da condannare. I social, a volte, riescono anche a far emergere luoghi dimenticati, a dare visibilità a realtà minori, a risvegliare curiosità. Alcuni borghi semi-abbandonati hanno rivissuto grazie a un video virale. E questo è positivo. Ma resta il problema della superficialità. Una bellezza consumata in fretta è una bellezza tradita. Come un libro sfogliato in fretta solo per poter dire “l’ho letto”, senza averne mai davvero colto il senso.

Tornando a Pisa, mi sento di dire: sì, andateci. La Torre merita. Ma non fermatevi lì. Andate oltre il cliché. Varcate la soglia del Duomo: guardate l’abside, la cupola, gli affreschi. Visitate il Battistero, ascoltate il miracolo acustico della sua struttura. Entrate nel Camposanto Monumentale, luogo di pace e poesia, con affreschi antichissimi, sopravvissuti persino ai bombardamenti. Lì, forse, ritroverete la dimensione autentica del vedere.

Per quanto mi riguarda, ed è proprio questo il punto, credo che il turismo, se vuole conservarsi autentico, debba tornare a essere esperienza, non rappresentazione. Non si viaggia (o non si dovrebbe viaggiare) per poter dire “io c’ero”, ma per poter affermare “io ho visto, io ho sentito”. L’arte, la storia, i paesaggi non sono scenografie, ma narrazioni vive e complesse. E, a mio avviso, non possono essere ridotte a un selfie.

Ah, quasi dimenticavo: torre, Pisa, social, foto. Lo dico solo perché altrimenti Yoast mi disconosce come autrice e mi manda a correggere metadati per l’eternità.

 

 

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