Azay le Rideau Chinon castelli Loira confronto

C’è un punto preciso, nella valle della Loira, dove la storia si fa pietra e la pietra si fa armonia. Lì, fra le morbide anse del fiume, sorgono due castelli che, pur a poca distanza l’uno dall’altro, non potrebbero essere più diversi: Azay-le-Rideau e Chinon.

Li ho visitati entrambi, durante una breve vacanza nei castelli della Loira. Erano giornate luminose di inizio autunno, quando il sole accarezza i tetti d’ardesia e la folla dei turisti si dirada quel tanto che basta a restituire intimità ai luoghi. Azay-le-Rideau e Chinon non sono semplici edifici: sono incarnazioni del potere, due anime in conflitto. Là dove Azay-le-Rideau sorride e seduce, Chinon stringe i pugni e combatte. Dove l’uno accoglie, l’altro sta in allerta. Eppure, entrambi – con stili opposti – scolpiscono nella pietra la grande epopea della Francia.

Azay-le-Rideau: la grazia rinascimentale sull’acqua

Azay-le-Rideau non fu mai fortezza, né bastione, né rocca. Fin dall’inizio fu residenza, visione, dichiarazione di gusto. Un sogno voluto da Gilles Berthelot, alto funzionario del regno, tesoriere di Francesco I, e dunque uomo colto, ambizioso, perfettamente inserito nelle trame del potere. Era il 1518 quando Berthelot scelse di trasformare un’antica dimora feudale in un castello moderno, costruito su un’isola del fiume Indre, affluente della Loira. Voleva, chiaramente, dare forma all’ideale rinascimentale di bellezza e proporzione—e insieme lasciare un segno tangibile della propria ricchezza.

L’influenza italiana è evidente, persino ovvia. Azay-le-Rideau guarda verso Roma e Firenze, verso quel Rinascimento che Francesco I aveva ammirato durante i suoi viaggi in Italia e che volle trapiantare nella cultura francese. Non a caso, a edificare il castello furono chiamate le migliori maestranze del tempo: scalpellini, carpentieri, stuccatori—molti dei quali italiani.

Un castello che dialoga con l’acqua

 

La struttura, concepita originariamente con pianta quadrata, fu bruscamente interrotta da intrighi politici e fallimenti economici. Gilles Berthelot, suo committente, cadde in disgrazia e fu costretto alla fuga, lasciando l’opera incompiuta. Eppure – come spesso accade – l’incompiutezza divenne stile. La forma a L, anziché mancanza, si trasforma in carattere distintivo.

Il prospetto principale, rivolto verso nord-est, è un esercizio di grazia architettonica. Una sequenza di finestre a croce dialoga con archi ribassati, abbaini scolpiti e pinnacoli che si innalzano con discreta audacia. Le torrette cilindriche rompono la simmetria con un gesto verticale.

Ma è l’acqua il vero teatro su cui Azay-le-Rideau mette in scena la sua bellezza. Lo specchio del fiume Indre riflette, duplica, trasfigura. L’edificio galleggia tra realtà e illusione, come un sogno architettonico sospeso. È grazie all’acqua che le linee del castello si moltiplicano, si dissolvono, diventano visione.

Lo scalone: l’invenzione del movimento

A differenza dello scalone elicoidale di Chambord – che si avvita su sé stesso – quello di Azay-le-Rideau si dispiega in rampe rette, con ampi pianerottoli che si affacciano con disinvoltura sulla corte. È una soluzione razionale, sì, ma anche spettacolare. La luce entra generosa, e trasforma ogni gradino in una scena, ogni sosta in una comparsa.

Perché lo scalone è anche un fine. Non serve soltanto a salire, ma a essere visti salire. È un dispositivo di rappresentazione, un teatro verticale dove il potere si mostra non con la forza, ma con la grazia.

L’interno e la salamandra

Oggi Azay-le-Rideau è perfettamente restaurato e arredato secondo il gusto rinascimentale e seicentesco.

Le sale, sontuose ma mai soffocanti, accolgono il visitatore in un abbraccio di legno intagliato, tessuti preziosi e luce filtrata.

I soffitti a cassettoni – meraviglie di prospettiva e simmetria – intrecciano motivi floreali, geometrici e araldici. I camini monumentali, finemente scolpiti, portano i simboli di Francesco I, fra cui la celeberrima salamandra.

La salamandra: l’animale del re e allegoria del potere

 

Fra i simboli più ricorrenti e suggestivi dell’interno, la salamandra campeggia come un totem spirituale e politico. Emblema personale di Francesco I, questo animale – piccolo, misterioso, e secondo la leggenda, resistente al fuoco – incarna la figura ideale del sovrano umanista: colui che attraversa le prove senza bruciarsi, che governa le passioni senza reprimerle, che domina senza distruggere.

È un simbolo che ritroviamo ovunque: sopra i camini, tra i cassettoni dei soffitti, incisa nelle porte. Sempre accompagnata dal motto Nutrisco et extingo – “Nutro [il fuoco buono] e spengo [quello cattivo]” – essa diventa una sentenza, una regola morale in forma di immagine.

I giardini: la cornice ideale

Azay le Rideau e Chinon castelli Loira a confronto

All’esterno, Azay-le-Rideau è circondato da un parco paesaggistico all’inglese, progettato nel XIX secolo, con vialetti sinuosi, alberi secolari, prospettive visive che valorizzano il castello da ogni angolatura.

Passeggiare nei giardini di Azay in settembre è un’esperienza indimenticabile: la luce dorata, l’acqua che scorre lenta, i riflessi, i colori cangianti delle foglie… tutto contribuisce a creare una dimensione sospesa.

Azay-le-Rideau oggi: tra cultura e turismo

Azay le Rideau e Chinon castelli Loira a confronto

Azay-le-Rideau attira ogni anno migliaia di visitatori da tutto il mondo. Il percorso di visita è ben concepito, didattico ma mai pedante. Vi si respira un senso di autenticità, e la cura dei dettagli dimostra l’impegno della Francia nel preservare non solo l’edificio, ma lo spirito stesso di un’epoca.

Azay-le-Rideau è uno dei castelli più fotografati della Loira, ma anche uno dei più amati dai bambini: sembra uscito da una fiaba. E in effetti, lo è. Una fiaba architettonica, perfettamente raccontata. Ma dal momento che ci sono altri castelli  da visitare, da Azay le Rideau mettiamoci in cammino per Chinon.


Chinon: la rocca del destino

Azay le Rideau e Chinon castelli Loira a confronto

Se Azay-le-Rideau è il castello dell’arte di vivere, Chinon è la fortezza dell’arte di resistere. Non accoglie: veglia. Non incanta: incute timore. È una sentinella di pietra, inchiodata su uno sperone roccioso che sovrasta la Vienne. Ha visto guerre, assedi, attese, e quei rari momenti in cui la Storia prende fiato prima di cambiare corso.

Una storia di potere

Le sue origini si perdono nella notte dei tempi, ma fu nel XII secolo, sotto Enrico II Plantageneto che Chinon divenne ciò che oggi vediamo: una distesa fortificata, aspra, fatta di torri, bastioni spogli, camminamenti sulla cresta della collina. Tre i suoi cuori: il castello di Coudray, il castello di Saint-Georges, e il castello du Milieu. Tre anime, una sola volontà: resistere.

Qui Enrico II trascorse gli ultimi anni, logorato dalle congiure e dai tradimenti. Qui morì, nel 1189, solo, sovrano di un impero che si sbriciolava. Qui si giocò una delle partite più drammatiche del lungo duello tra la corona d’Inghilterra e quella di Francia.

 

Il dramma di Giovanna d’Arco

 

È il 1429. La Francia è a pezzi. Il nord è sotto il giogo inglese. Carlo VII, re senza corona, indugia a Chinon: è un delfino smarrito, prigioniero della propria indecisione. E poi, d’un tratto, entra lei. Una pastorella di Domrémy. Diciassette anni. Dice che Dio le parla. Dice che libererà la Francia. Dice che condurrà il re a Reims. Nessuno le crede. Ma lei, incrollabile, chiede di vedere il sovrano.

La leggenda vuole che Carlo, per metterla alla prova, si sia confuso tra i cortigiani. E lei? Lo indica. Lo chiama. Lo guarda. Lo riconosce. Ma soprattutto: lo convince. In quel colloquio – fra una pastorella e un re senza trono – nasce la riscossa francese. Nasce la leggenda di Giovanna d’Arco.

Un castello spoglio, ma eloquente

Oggi Chinon è in parte in rovina, ma proprio questo ne accresce il fascino. Le torri – fra cui la possente Torre dell’Orologio e la Torre del Coudray, dove fu imprigionato il templare Jacques de Molay – sono restaurate con discrezione I camminamenti si aprono sulla valle della Vienne, e le installazioni multimediali (per una volta) non disturbano: guidano.

 

Azay-le-Rideau e Chinon: due castelli, due anime

Azay-le-Rideau e Chinon sono i poli opposti di una medesima cultura. Laddove il primo rappresenta l’armonia, il secondo incarna la marzialità. Azay-le-Rideau è clavicembalo, Chinon tamburo di guerra. Ma entrambi, a modo loro, raccontano la grandezza della Francia, la sua capacità di unire la grazia alla forza.

Visitandoli, ho provato emozioni diverse ma ugualmente profonde. In Azay, la commozione per una bellezza umana, fatta di arte, proporzione, intelletto. In Chinon, il brivido per una bellezza tragica, scolpita nella storia, nel coraggio, nel destino.

E questo, in fondo, è ciò che l’arte dovrebbe sempre fare: mostrare l’umano nella sua totalità, in tutte le sue forme, dalle più leggere alle più terribili.  I castelli di Azay-le-Rideau e Chinon lo fanno, in modo esemplare.

 

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