Una giornata a Sintra alla Quinta da Regaleira
Premessa doverosa (e sì, un po’ umiliante): questo post include più volte le espressioni “visitare la Quinta da Regaleira” e “una giornata a Sintra” non perché io soffra di una sindrome da ripetizione ossessiva ma perché Yoast SEO, quell’entità orwelliana che governa i blog, pretende che le parole chiave compaiano come una cantilena rituale. Altrimenti, la mia giornata a Sintra finisce nell’oblio degli algoritmi. Quindi perdonatemi se oggi ripeterò con entusiasmo che visitare la Quinta da Regaleira è la scelta migliore per una giornata a Sintra, cosa che del resto non è falsa. Ci sono andata per il mio compleanno ed è stato il giorno più misterico della mia vita.
Avevo immaginato di festeggiare il mio compleanno a Lisbona: un brunch minimalista, vinho verde, una gita in barca sul Tago con il vento nei capelli e gli occhiali da sole, come ogni travel blogger che si rispetti. E invece, no.
Mi sono ritrovata a Sintra, a febbraio. Il sole c’era – sì – ma accompagnato da quell’aria frizzantina che ti costringe a scegliere tra la vanità di una giacca leopardata e l’abbraccio goffo ma efficace di un piumino da spedizione artica. Io, ovviamente, ho scelto la vanità.
Così, tremante ma risoluta, sono andata alla Quinta da Regaleira, quel gioiello esoterico nascosto tra le pieghe umide della Serra di Sintra. Me l’avevano descritta come una “villa romantica”. Ma che vuol dire, “romantica”? È una parola che si tira fuori quando non si sa bene cosa dire. La Quinta da Regaleira è tutto fuorché una semplice villa romantica: è un libro scritto nella pietra, un labirinto iniziatico, un manoscritto gotico illustrato da un cabalista.
Già il nome è un programma: quinta in portoghese non è solo “cinque” o “giovedì”, ma anche “tenuta di campagna”. Regaleira suggerisce qualcosa di regale, certo, ma anche un tocco di teatralità mistica. Le premesse erano ottime.
Il cavallo all’ingresso della Quinta da Regaleira di Sintra
Appena varcato il cancello, l’ho vista: una testa di cavallo scolpita nella pietra, sospesa sopra l’ingresso monumentale del palazzo. La criniera, resa con linee fluide e precise, trasmette un senso di movimento, mentre l’espressione dell’animale è solenne e composta. Ovviamente non è un semplice elemento decorativo, ma un simbolo: il cavallo, nella tradizione esoterica, rappresenta l’energia vitale e il viaggio iniziatico che il visitatore sta per intraprendere. Simbolo antico di transizione tra i mondi, richiama il percorso di morte e rinascita celato nel complesso. In linea con le simbologie massoniche e templari care a Carvalho Monteiro, il cavallo allude alla disciplina, al coraggio e alla nobiltà richiesti all’iniziato. La sua presenza qui anticipa il carattere simbolico e misterioso dell’intera tenuta. È il custode liminale, l’animale che precede il rito.
La prima impressione? Una fantasmagoria di pinnacoli, guglie, rosoni, creature scolpite sospese tra il gotico, il neomanuelino e il liberty. Visitare la Quinta da Regaleira a Sintra sembrava essere un’esperienza promettente. (Ah, giusto, prima che pensiate che stia esagerando con il parlare di una giornata a Sintra per invogliarvi a visitare la Quinta da Regaleira, vi informo che è tutto per il bene della SEO. Se non ripeto abbastanza le parole chiave, Yoast SEO si mette a fare capricci. Quindi perdonatemi, è per una buona causa!)
Carvalho Monteiro, l’uomo dietro il mistero
La Quinta da Regaleira è il frutto della mente visionaria di António Augusto Carvalho Monteiro, uomo colto, ricchissimo e – a quanto pare – iniziato. Nato in Brasile ma trasferitosi in Portogallo, Monteiro apparteneva a quella categoria rara di personaggi che potremmo definire “collezionisti dell’invisibile“. Non accumulava solo oggetti, ma soprattutto significati. Era alla ricerca di simboli, visioni, chiavi per decifrare il mondo.
La sua fortuna, costruita grazie al caffè e all’oro, venne investita in un progetto fuori da ogni schema: costruire non una residenza, ma un percorso simbolico, una mappa di simboli in forma di palazzo e giardino. Di lui si dice di tutto – che fosse massone, rosacrociano, alchimista, e forse è tutto vero. Camminando nel parco, tra grotte, torri, pozzi e labirinti, si ha la sensazione non tanto di visitare un luogo quanto di attraversare la sua mente. E non una mente qualsiasi.
Per dare forma alla sua visione, Carvalho Monteiro scelse Luigi Manini: scenografo italiano, massone, con alle spalle palcoscenici illustri come la Scala di Milano e il Palazzo del Buçaco. Insieme non costruirono semplicemente un edificio, ma un enigma. Una biblioteca scolpita nella pietra, dove ogni dettaglio – architettonico, botanico, simbolico – è parte di un racconto iniziatico. Qui, nulla è mai soltanto ciò che sembra. Alla costruzione contribuì anche José da Fonseca Gonçalves, tecnico e architetto, che diede concretezza al sogno.
Ecco il trio perfetto per progettare una cattedrale esoterica camuffata da villa di campagna.
E io, nel tentativo di decifrarla, ho fatto l’unica cosa sensata: ho iniziato a camminare. E sono entrata nel palazzo.
Dentro la Quinta da Regaleira
Il palazzo si staglia come un sogno architettonico, dove gli stili non si sommano, ma si trasfigurano: gotico, rinascimentale, manuelino.
Una volta varcata la soglia del palazzo — ed è proprio il caso di dirlo: varcata, come in un rito — si entra in un mondo in cui l’architettura smette di essere contenitore per diventare contenuto. Qui, ogni sala è un paragrafo di una narrazione simbolica.
Si comincia dalla Sala da Caccia, dove una monumentale cappa in pietra, scolpita con meticolosa eleganza, non si limita a raffigurare battute venatorie, ma inscena vere e proprie genealogie simboliche. Monteiro, del resto, in portoghese significa “cacciatore dei monti”, e questo gioco linguistico si fa subito allegorico. Perché qui, è chiaro, non si dà la caccia agli animali. La vera preda è il significato. Ma il gioco non si ferma al cognome: la caccia qui è una metafora. Si cerca il senso, non la preda; si insegue l’invisibile, non il cinghiale.
Anche se, curiosamente, un cinghiale c’è davvero: al centro del pavimento, in un elegante mosaico veneziano dai toni ocra e grigio fumo, l’animale campeggia sopra un motto latino che ci accoglie con affettuosa solennità: “Salve”. Un saluto? Certo. Ma anche un invito a lasciarsi alle spalle la realtà ordinaria per entrare nel campo minato della simbologia. Chi varca questa soglia diventa pellegrino.
Poco distante si apre la cappella, detta “privata” ma concepita con l’ambizione scenica di un teatro del sacro in miniatura. All’altare, un mosaico raffigura l’ incoronazione della Vergine da parte di Cristo, mentre lo Spirito Santo, sotto forma di colomba, completa il triangolo celeste. Iconografia tradizionale? Sì, ma calata in un contesto dove ogni simbolo è strappato alla sua ovvietà per essere rilanciato nel gioco dell’allusione.
Le altre stanze — dalla Sala Rinascimentale alla Sala della Musica — mescolano arredi d’epoca e soffitti scolpiti che oscillano tra l’estetica ottocentesca e il capriccio ermetico. Non sono ambienti da vivere, ma da decifrare. Come se il vero abitante di questo palazzo non fosse un uomo, ma una domanda. E ogni oggetto, ogni decorazione, non tanto un segno di gusto quanto un invito all’interpretazione. Qui il lusso è solo l’abito di scena: il protagonista, in fondo, è sempre il mistero.
I giardini e il pozzo iniziatico
Anche all’esterno, nei giardini e lungo i sentieri ombrosi, l’influenza rosacrociana e gnostica è più che visibile: è quasi tattile. Le croci templari, le rose, le scale a spirale, le cappelle disseminate di simboli cabalistici — nulla è ornamentale, tutto è intenzionale. Il giardino è un libro aperto in forma vegetale. Le felci arboree, alte e vetuste, evocano una foresta primordiale. Le fontane non sono pensate per dissetare, ma per purificare: vere e proprie stazioni alchemiche, tappe di un cammino simbolico. Anche gli azulejos, normalmente ridotti a funzione ornamentale, qui diventano parole cifrate: blu cobalto su fondo bianco, come note lasciate da un dio minore a beneficio di chi sappia leggere i segni.
Al centro di tutto, come un cuore sotterraneo, pulsa il Pozzo Iniziatico. Una spirale di pietra, una torre rovesciata che scende nel profondo della terra per suggerire l’ascesa dello spirito. Nove cerchi — come i cieli danteschi o le prove di un rituale esoterico — conducono alla base, dove una croce templare è inscritta in una rosa dei venti. Mentre scendevo mi sono chiesta perché l’umanità, da millenni, seppellisca la verità nei pozzi, nei labirinti, nei meandri dell’invisibile.
Forse perché la verità, nuda, ci spaventa? Stavo per raggiungere l’illuminazione, quando sono stata interrotta dal vociare di un gruppo di turisti tedeschi con scarponi tecnici e zaini ingombranti. Il sublime, talvolta, indossa il Gore-Tex.
Ma è uscendo dal pozzo che la Quinta si svela per intero. La Grotta di Leda celebra l’incontro tra umano e divino. La Cappella della Santissima Trinità racconta l’unità nella molteplicità. Le statue, le fontane, i passaggi segreti: tutto partecipa a un percorso pedagogico invisibile. Il parco stesso si divide simbolicamente in tre zone, come le fasi dell’opus alchemico: nigredo, albedo, rubedo.
E infine, le torri. Affusolate, gotiche, sembrano uscite da un sogno illustrato. Una in particolare mi ha catturata. Sottile, precisa nella proporzioni da sembrare disegnata da un miniaturista. Ho pensato immediatamente a Raperonzolo che qui, probabilmente, non avrebbe calato i capelli, ma la mappa di un labirinto.
E quindi, che ci faccio io qui?
Domanda legittima. Non sono un’iniziata, non indosso anelli incisi con squadre e compassi, non recito formule in lingue estinte. Eppure la Quinta mi parla. Mi parla come mi parlano i luoghi che non comprendo del tutto. Dev’essere un messaggio in codice.
Per me, la Quinta da Regaleira è come una domanda a cui non serve risposta.
E poi, diciamolo con onestà: in quale altro sito UNESCO vieni accolto da un cavallo scolpito e congedato da un pozzo iniziatico?
Altrove ti spiegano tutto. Qui, ti costringono a pensare.
Insomma, se Google vi ha portati fin qui con una ricerca tipo “cosa vedere a Sintra in un giorno”, lasciatemi dire che la risposta è: visitare Quinta da Regaleira, ma con occhi attenti, scarpe comode, e magari una copia sottolineata del Pendolo di Foucault nello zaino. Così, tanto per restare in tema.
E se vi sembra che abbia parlato un po’ troppo di una giornata a Sintra e dell’opportunità di visitare la Quinta da Regaleira, beh, non è che mi sia ripetuta per noia. Yoast SEO, che è un po’ come un capoufficio petulante, impone queste cose. In fin dei conti, si fa tutto per il bene del blog!
Qui troverete (in inglese) tutte le informazioni pratiche per la vostra visita alla Quinta da Regaleira
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